Quello che Pier Paolo Pasolini (ucciso da ignoto nel 1975) aveva ed ha capito e che solo il povero Aldo Moro, “colui che appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state organizzate”, ha terribilmente pagato (ucciso da ignoto nel 1978).
IL PROCESSO ALLA DEMOCRAZIA CRISTIANA
DI PIER PAOLO PASOLINI
L’ACCUSA
Indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la Cia, uso illecito di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di punirne gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani (responsabilità, questa, aggravata dalla sua totale inconsapevolezza), responsabilità della condizione, come suol dirsi, paurosa, delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell’abbandono «selvaggio» delle campagne, responsabilità dell‘esplosione «selvaggia» della cultura di massa e dei mass media, responsabilità della stupidità delittuosa della televisione, responsabilità del decadimento della Chiesa, e infine, oltre a tutto il resto, magari, distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad adulatori.
Senza un simile processo penale, è inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il nostro Paese. È chiaro infatti che la rispettabilità di alcuni democristiani (Moro, Zaccagnini) o la moralità dei comunisti non servono a nulla.
LA SENTENZA
Cosa verrebbe rivelato alla coscienza dei cittadini italiani da tale Processo (oltre, si intende, alla fondatezza dei reati più sopra enunciati secondo una terminologia etica se non giuridica)?
Verrebbe rivelato ai cittadini italiani qualcosa di essenziale per la loro esistenza, cioè questo: i potenti democristiani che ci hanno governato negli ultimi dieci anni non hanno capito che si era storicamente esaurita la forma di potere che essi avevano servilmente servito nei vent’anni precedenti (traendone peraltro tutti i possibili profitti) e che la nuova forma di potere non sapeva più (e non sa) che cosa farsene di loro.
Questa «millenaristica» verità è dunque essenziale per capire (al di là del Processo e delle sue condanne penali) che è finita l’epoca, appunto millenaria, di un «certo» potere ed è cominciata l’epoca di un certo «altro» potere.
Ma soltanto un Processo potrebbe dare a questa astratta affermazione i caratteri di una verità storica inconfutabile, tale da determinare nel paese una nuova volontà politica.
Una volta condannati i nostri potenti democristiani (alla fucilazione, all’ergastolo, all’ammenda di una lira, cosa di cui qualsiasi cittadino infine si accontenterebbe) ogni confusione dovuta a una falsa e artificiale continuità del potere democristiano verrebbe vanificata. L’interruzione drammatica di tale continuità renderebbe al contrario chiaro a tutti non solo che un gruppo di corrotti, di inetti, di incapaci è stato democraticamente tolto di mezzo, ma soprattutto (ripeto) che un’epoca è finita e ne deve cominciare un’altra.
Se invece questi potenti resteranno ai loro posti di potere – magari scambiandoseli un’ennesima volta –, se cioè la Dc, e con essa, quindi, il paese, opteranno per la continuità, più o meno drammatizzata, non sarà mai chiaro, per esempio, il fatto che gli italiani oggi sono laici almeno nella misura in cui fino a ieri erano cattolici, oppure che i valori dello sviluppo economico hanno dissolto tutti i possibili valori delle economie precedenti (insieme a quelli specificatamente ideologici e religiosi), oppure ancora che il nuovo potere ha bisogno di un nuovo tipo di uomo.
Non si può non solo governare, ma nemmeno amministrare senza dei principi. E il partito democristiano non ha mai avuto dei principi. Li ha identificati, e brutalmente, con quelli morali e religiosi della Chiesa in grazia della quale deteneva il potere. Una massa ignorante (e lo dico col più grande amore per questa massa) e una oligarchia di volgari demagoghi dalla fame insaziabile, non possono costituire un partito con un’anima.
Ma è a questo punto che si ha il «risvolto» del mio presente scritto (reso evidentemente romanzesco dalla presenza di un Processo…).
Il «risvolto» consiste in questo: la continuità democristiana, voluta in realtà da tutti indistintamente – in barba alla terribile «crisi», da tutti, altrettanto indistintamente, recepita e drammatizzata – in realtà non è possibile.
Infatti i democristiani per poter governare, anche nel flusso ipocrita di tale continuità, non possono più a questo punto non tentare anche sul piano puramente pratico (di altro non sono capaci) un’individuazione e una analisi della «novità del potere»: «novità del potere» che, se da loro individuata e analizzata, finirebbe fatalmente con l’annullarli.
Ugualmente i comunisti – nel caso che accettassero senza Processo tale continuità – altro non potrebbero fare, come ho detto, che della morale e non della politica. Perché anch’essi, individuando attraverso un sincero e profondo esame politico quella «novità del potere» che i democristiani non vogliono né possono individuare, sarebbero, da tale «novità» annullati in quanto comunisti (sarebbero appunto ridotti a sostituti dei democristiani).
LA VISIONE
Lo spezzarsi naturale della continuità democristiana – travolta dal ripercuotersi di una nuova realtà del paese nel Palazzo – si risolverà probabilmente con la formazione di un piccolo partito cattolico socialista (di carattere non più contadino, ma urbano), e di un grande partito teologico: un Tecno- fascismo, finanziato, dunque, da due potenze straniere, e in grado di trovare, nelle enormi masse «imponderabili» di giovani che vivono un mondo senza valori, una potente truppa psicologicamente neonazista.
Ed è a questo punto che possiamo, credo con giustificata ansia, «uscir di metafora» e dare al nostro favolistico Processo una connotazione concreta e reale.
L’immagine dei potenti democristiani ammanettati tra i carabinieri è un’immagine su cui riflettere seriamente. Ma devo farlo solo io, in mezzo a un bosco di querce?