Il Referendum è un istituto giuridico elettorale, contemplato dalla Costituzione della Repubblica Italiana, in virtù del quale si può richiedere ad un corpo elettorale il consenso o dissenso rispetto a una decisione riguardante singole questioni; si tratta dunque di uno strumento di democrazia diretta che consente agli elettori di pronunciarsi senza nessun intermediario su un tema specifico oggetto di discussione.
Nella legislazione italiana è richiesto il raggiungimento di un quorum (che indica il numero di partecipanti o elettori necessario affinché una votazione referendaria sia valida), ad esempio, per la validità del referendum abrogativo mentre non è previsto alcun quorum strutturale per il referendum confermativo (e giù questo lascerebbe molto da pensare: per confermare una legge parlamentare il quorum non servirebbe mentre per abrogarne una sì; tale distinzione sarebbe già di per sé in forte odore di privilegio).
Se in Italia, quindi, è previsto un quorum per il referendum abrogativo di una legge ordinaria, nel mondo pochissimi Paesi prevedono un quorum da raggiungere per la validità dei referendum abrogativi. Ciò non accade, ad esempio, in Svizzera e negli Stati Uniti, Paesi che fanno ampio uso del referendum, specialmente a livello locale.
Ma l’istituzione del quorum favorisce realmente la diretta espressione giuridica del popolo oppure garantisce alla rappresentanza politica ed ai potentati economici un più ampio margine di manovra per esautorare ancor più di quanto non facciano la diretta espressione della sovranità popolare?
Mantenere l’istituzione del quorum in un Paese come l’Italia che non eccelle nelle partecipazione consultive, ed anzi denota un progressivo astensionismo dai contorni ormai quasi incontrollabili, permette un’opera spesso dissuasiva ed amorale, quando non sfoci in proclami di astensionismo, rispetto alla partecipazione attiva della popolazione nel contesto civile.
Per questo l’abrogazione del quorum pare ormai rappresentare l’unica risorsa attraverso la quale responsabilizzare un elettorato disilluso e distaccato soprattutto in virtù delle manipolazioni politiche che sono avvenute anche riguardo a chiare indicazioni referendarie del passato.
Abolire il quorum significa chiamare il cittadino ad esprimersi in modo realmente consapevole dell’importanza e delle conseguenze del suo atto, spogliandolo di alibi e tentazioni d’astensione spesso abilmente inoculati dalle stesse rappresentanze politiche e dai potentati mediatici ed economici.
Mantenere il quorum, che in un Paese elettoralmente attivo potrebbe anche considerarsi ragionevole, in Italia pare ormai assumere le vesti di uno strumento contrario alla democrazia e al libero confronto tra le parti oltre a rendersi causa dell’annullamento di gran parte dei referendum ammessi al voto e quindi dello sperpero indefinito dei necessari “costi della democrazia”.
Ne sanno qualcosa i moltissimi Paesi occidentali dove il quorum non è previsto, lo suggerisce anche il Consiglio d’Europa che ha chiesto all’Italia di eliminarlo dallo strumento referendario.
Insomma non un tema innominabile come la rappresentanza politica vorrebbe far credere ma qualcosa su cui riflettere seriamente e non farsi tacitare, così come dovrebbe essere oggetto di un rapido e definitivo dibattito l’effettiva e piena applicabilità delle indicazioni referendarie come avveniva in passato ed oggi sembra essere divenuto miraggio.
Un voto senza quorum e realmente applicabile è restituire dignità al corpo elettorale e al suo sacrosanto diritto ad una vera forma di democrazia diretta.
In realtà non si può accettare che un minimo numero di cittadini possa abolire una legge. Potrebbe essere legato al numero degli elettori che hanno votato alle ultime elezioni od al numero degli elettori che sostengono il presente governo….però in questo caso c’è il problema del non vincolo di
mandato. Pietro Brogi