L’addio di Luigi Di Maio al Movimento che gli ha donato opportunità davvero poco immaginabili diversamente e che da pentastellato della prima ora è stato da subito prescelto per incarichi di rappresentatività, responsabilità e prestigio già agli albori dello sbarco del Movimento in Parlamento, quando questi era poco più che un ragazzo inesperto, lascia un poco amareggiati, ma non stupiti e per certi versi speranzosi che alcune dinamiche di aspirazione personale si ripetano abbastanza frequentemente e che quindi nulla di nuovo appaia sotto il sole.
Di Maio cita giustamente l’opportunità della quale il M5S lo ha onorato rispondendo di reputare aver ricambiato, non potendo d’altra parte neppure negare in questo abbia realisticamente profuso dell’impegno, peccato non ammetta pubblicamente che tale opportunità sia stata per un ragazzo di 26 anni sconosciuto ed inesperto una grazia insperata, che poi sia stata accolta ed onorata per quanto possibile è discorso diverso.
Peccato abbia apertamente dichiarato che “uno non vale l’altro”, come se non avesse inteso profondamente che tale principio identitario del Movimento, oggi, proprio per un salto di maturità dello stesso, non potesse che essere inteso nell’ottica di agire sempre e comunque “come se uno valesse l’altro”, questa è la stella polare frutto di una sua evidentemente cattiva interpretazione. A distanza di alcuni anni e per un uomo di ormai diversa esperienza rispetto al ventiseienne degli esordi questo non sarebbe dovuto e potuto accadere in un’ottica di lealtà, responsabilità e reciprocità.
Di Maio cita il suo europeismo ed atlantismo come se il M5S avesse pubblicamente, direttamente ed apertamente mutato rotta rispetto a tali principi, cosa che nei fatti non è.
Nei fatti è che il nuovo corso guidato da Giuseppe Conte abbia legittimamente espresso le proprie perplessità ed obiezioni rispetto ad un’azione di governo sembrata a tratti davvero eccessivamente unilaterale. Questo è ciò che fa una forza politica senza dover temere di essere tacciata di slealtà o “tradimento”.
Purtroppo un “tradimento”, che talora è anche atto nobile quando percepito ed agito sinceramente e coscienziosamente, è quello oggi proclamato da Luigi Di Maio che, da Ministro degli Esteri (e varie volte Ministro precedentemente, tributo che al M5S immaginiamo dovrà a vita), schierandosi nettamente con la compagine governativa di Mario Draghi, ha semplicemente confidato le proprie aspirazioni personali prevalenti su quelle collettive e che in pratica potrebbero riassumersi con schietta e diretta semplicità:
– “Uno non vale l’altro”;
– “Sono europeista ed atlantista e orgoglioso dell’appartenenza del Governo Draghi (non proprio in linea con i principi identitari del M5S più sano e sincero)”;
– “Siamo alle soglie di una nuova legislatura, in cui il Movimento appare in affanno di consenso e quindi di futuri seggi, con il vincolo dei due mandati che potrebbe tenermi fuori da incarichi politico/istituzionali alla cui aspirazione non vorrei rinunciare checché ne abbia detto in precedenza”;
– “Essere Ministro degli Esteri, o Ministro in genere o Parlamentare, non è abitudine dalla quale ci si separa facilmente”;
– “La Politica può e forse deve diventare un mestiere dei più capaci”;
– “Le aspirazioni personali, dopo anni di Parlamento, alle volte anche prima, prevalgono su quelle generali”.
Queste sarebbero le domande vere, legittime, non retoriche, alle quali si dovrebbero risposte vere, ma per come è apparsa la parabola di Luigi Di Maio stentiamo a credere intenderà porsele e porgerle ai propri sostenitori, soprattutto nel momento in cui le circostanze che hanno portato a questa sua virata politica verso l’establishment appaiano piuttosto coerenti con le scelte di un “uomo normale”, con le aspirazioni e le prospettive di un “uomo normale“.
Di questo, ieri ed oggi, il M5S aveva ed ha tutt’altro che bisogno, e forse la scelta del “prescelto” di un tempo rappresenterà per il Movimento l’opportunità, speriamo accolta, di navigare un mare più autentico e rinnovato rispetto alla prevedibile decisione che il Ministro ha scelto per sé (e per i suoi) e la cui permanenza rischiava di pregiudicare.
Beppe Grillo poi, come suo solito, ha espresso una sintesi impeccabile sulla vicenda: “Qualcuno non crede più nelle regole del gioco? Lo dica senza espedienti”.
In punta di sincerità null’altro ci sarebbe da aggiungere, se non forse che anche la scelta del nome del nuovo gruppo parlamentare dimaiano e verosimilmente del futuro partito “Insieme per il Futuro” sembrerebbe proprio tutto un vetero, stantìo e banalissimo programma/slogan evocativo di antichissime disfatte.
Peccato. Davvero. Ma forse non poteva essere altrimenti.