Accostando le mani al fusto ho risentito la stessa abbagliante chiarezza che provai anni addietro e che probabilmente mette magicamente in comune giganti arborei di questo genere.
Sono tornato col pensiero ad una simile creatura che per caso trovai sulla mia strada quando un giorno, di ritorno dalle vacanze estive, mi fermai curioso a visitare il paese natale del famoso cantautore Lucio Battisti, Poggio Bustone in provincia di Rieti.
Per la verità molte volte ero passato davanti all’insegna della piccola località, ma ogni volta, un po’ per fretta un po’ per pigrizia, non mi ero mai deciso a salire verso il bel paese che aveva cresciuto a suo modo lo straordinario talento del suo cittadino più illustre.
Fui accolto da una delle sue canzoni più note che veniva da una vetrata al primo piano della palazzina dove alcuni ragazzi la stavano affrontando a squarciagola.
Fui felice di guardare l’abitato, il balconcino della casa natale di Battisti in cui un poster sbiadito ne manteneva la memoria. Ancora più fui sbalordito dalla veduta a strapiombo che davanti al balconcino sprofondava in altezze memorabili e che fu facile immaginare fossero state d’ispirazione all’artista.
Ricordo ancora quella giornata per quel senso di solitudine che forse mi avevano lasciato addosso gli amici abbandonati con le vacanze, un senso di solitudine che probabilmente però fu propizio per incontrare le origini di un grande artista e quelle a me meno note dell’antico faggio di Rivodutri.
Quando infatti stavo costeggiando il piccolo parco dedicato al musicista che mi stava instradando sulla via del ritorno di colpo mi colpì una vecchia insegna non troppo curata che citava testualmente: al Faggio Vecchio. La curiosità e la malinconia che mi avevano esasperato per il giorno intero furono di nuovo con me più pungenti che mai a spingermi verso quella nuova ed ignota meta.
Feci una strada troppo lunga, impervia e sconnessa, che quasi mi voleva veder desistere, tanto che infatti più d’una volta persi la fiducia d’arrivare, poi in uno spiazzo del bosco che mi aveva accompagnato lungo la tortuosa via ecco apparire un piccolo parcheggio vicino ad una minuta cappella da poco ristrutturata.
Scesi assalito da un silenzio che non ho mai più risentito. All’inizio ebbi paura che qualcosa come un serpente potesse aggredirmi proprio nel mezzo di quella pace insostenibile. Poi, una nuova insegna indicava il faggio poco lontano. Scesi alcuni gradini e sul limitare del bosco ecco apparire una pianta talmente grande da fare un’ombra impossibile da raccogliere. Se non l’avessi saputo forse sarei passato oltre attribuendo quella frescura ad un insieme di alberi, ma così fortunatamente non fu.
Solo dopo seppi di essere a mille metri di altitudine con davanti un gigante dall’altezza smisurata e la circonferenza di ben ventidue metri.
San Francesco stesso, secondo una tradizione popolare, si sarebbe riparato sotto l’antico faggio durante un temporale, mentre il faggio stesso avrebbe steso i suoi rami, piegandoli verso il basso, per riparare il poverello di Assisi dalla pioggia e dalla furia della tempesta.
In quella valle santa reatina non poche leggende si affastellavano sulla figura del mistico di Assisi, ma forse quella del piccolo uomo sotto la grande pianta rimaneva la più suggestiva.
Ai piedi del faggio molte foto, piccoli croci di legno ed altri voti ne facevano una cattedrale sinistra e ammirevole, io, in silenzio ne fui preda sino a che il sussulto di un camminatore mi riportò alla realtà. Un giovane uomo infatti se ne veniva dalla valle a piedi e scortomi mi chiese semplicemente dove portasse quella strada. Io non lo potei aiutare, solo rimasi stupefatto che non conoscesse l’infinito sentiero che stava percorrendo.
Su una piccola guida che avevo con me lessi che il faggio antico presentava delle caratteristiche morfologiche che si potevano riscontrare in pochi esemplari al mondo, forse soltanto in tre (di cui uno in Inghilterra e l’altro in Nord America) e che probabilmente poteva trattarsi del più grande in assoluto della sua specie.
Nella zona soprastante il Faggio era anche possibile ammirare, impresse su di una pietra, delle impronte di ginocchia che la leggenda faceva risalire al Santo adagiatosi in preghiera.
Così, similmente, silente e devoto, lasciai quel luogo e quel faggio di San Francesco tanto assetato di solitudine.