Manager Moderni e Vecchi Capitani d’Impresa anche questo è il dilemma.
È il dilemma degli Olivetti, dei Lancia, dei Ferrari, dei Mattei e di molti altri Vecchi Capitani d’Impresa che, seppure con le loro verosimili o presumibili ambiguità (nessuno è un angelo fortunatamente), idearono e ressero imprese nello spirito di coniugare intraprendenza a senso della comunità, creazione e progresso. Coniugare spirito dell’uomo allo spirito del tempo. Questo accordo diede inizio all’impresa che naturalmente risuonò alla somiglianza della sua prima nota.
Successivamente la nota è mutata in uno stridore d’egoismi fino a portare all’evidenza del manager moderno, che anch’esso coniuga il suo spirito con quello del tempo. E lo spirito del nostro tempo è quello di remunerare proprietari ed azionisti ad ogni costo e con ogni mezzo per rimanere dove si è. Non vi sono limiti o radici da onorare, tutto è globalizzato ed eradicato. Non possiamo giudicarli forse neppure noi che abbiamo nei fatti abdicato ad un capitalismo irrimediabile e che a questo porta irrimediabilmente.
Non siamo noi stessi, in piccolo, tutti divenuti come minuscoli manager moderni e non vecchi capitani d’impresa? Lo stesso Stato di cui ci lamentiamo non è ormai divenuto anch’esso che questo: deve ottenere soldi e poco importa come e perché?
Forse non siamo piccoli manager moderni che corrono come topolini impazziti (forse con meno scrupoli d’un tempo), pur di rimanere a galla e difendere strenuamente ciò che crediamo di avere, e forse senza indugiare troppo se la cosa possa andare a scapito di qualcuno? Non parlo necessariamente di grandi torti ma anche semplicemente di piccole continue omissioni o indifferenze quotidiane.
Eppure noi sì ci sentiamo angeli. Sento pochi esaminarsi realmente e non puntare il dito su qualcuno o qualcosa per le proprie disgrazie.
Allora va bene la sempre valida formula del nemico esterno che ci viene messa in bocca per trovare momentaneamente pace.
Siamo avvelenati per gli stranieri che ci invadono, che ci tolgono il lavoro, che ci violentano, che minano le fondamenta della nostra civiltà e quant’altro. Non voglio difendere né giustificare nessuno ma non vi sembra tutto un po’ troppo facile? Basta dire la parola “straniero” che si spinge il bottone e la valvola di sfogo s’innesca. È proprio tutta colpa loro?
A guardare un po’ più a fondo sembra proprio che riusciamo a vedere bene in loro ciò che difficilmente ammettiamo riconoscere in noi.
Davvero pensate che, come dice qualcuno, agitando ruspe, controlli o distruzioni si potrebbe risolvere il problema degli stranieri e risollevare la nostra vita?
Ripeto, nessun buonismo, i problemi ci sono evidentemente, ma decidere d’essere angeli e vedere altrove solo mostri parrebbe un po’ eccessivo. Certo più facile, confortante, ma non vorremmo mica prenderci per sempre così colossalmente in giro?
In fondo gli stranieri, anche italiani, storicamente si sono sempre mossi, e sempre hanno mutato popoli e nazioni, l’immigrazione è sempre stato un fattore ineliminabile, bisognerebbe piuttosto ragionare come, perché e in che misura sia eventualmente possibile controllarlo ed equilibrarlo.
Ma quali ruspe, quali bombardamenti, quali bestemmie suvvia.
Ciò che sicuramente sarebbe utile controllare se non eliminare è l’esempio che diamo loro. Se siamo avidi, maleducati, antipatici, cinici possiamo pensare che loro non si sentano quasi in diritto di fare lo stesso. Oppure la storica lezione dell’esempio vale solo in pedagogia? Credete che in Svezia gli stessi stranieri sarebbero tentati di comportarsi allo stesso modo che da noi? Eppure anche lì gli stranieri sono proprio come i nostri.
Ma non sarà forse che non “tuteliamo” la cosiddetta italianità perché in fondo capiamo che non c’è più nulla di così degno da tutelare? E che quello che non si rispetta per primi non si fa rispettare?
I figli dei politici poi sono sempre laureati con 110 e lode, prendono 10 in matematica. Tutti brillanti, senza bisogno d’aiuti, nuove generazioni modello.
Solo mi spiace che vadano perduti gli antichi mestieri e le antiche maestranze del nostro Paese, e non so se sia più colpa degli stranieri che le stanno sostituendo o il fatto che l’avidità porti sempre più al risparmio che gli stranieri garantiscono. Quindi, siamo loro contrari ufficialmente ma dietro il lavoro lo lasciamo al risparmio che ci garantiscono. Si deve pur sempre rimanere a galla no?
E’ il capitalismo che porta alla concezione dell’avidità e del massimo risparmio con il maggior profitto. Allora si perde la qualità di tutto, anche dell’artigianato, dell’agricoltura, ma possiamo addebitarlo solo agli stranieri? Tutti preferiscono un lavoro a basso costo anche a scapito della qualità. È colpa degli stranieri? Molti diranno di non aver abbastanza soldi per fare diversamente. È colpa degli stranieri? Non voglio giustificare nessuno perché tutti noi in primis dovremmo dimostrare rispetto ed esigerlo, non fare i semplici padroni di casa che possono permettersi quello che vogliono con gli altri ma esigono un diverso comportamento da loro.
La scusa di essere a casa nostra non regge, da che mondo è mondo il rispetto è universale e la terra realmente di nessuno.
Se gli stranieri fanno lavori che non vogliamo più fare è anche perché siamo vissuti nell’epoca delle lauree generalizzate e della loro idealità che promettevano una massa di futuri professionisti oggi delusi. Non è una accusa, ma una riflessione. Questo possiamo addebitarlo agli stranieri?
Se i prodotti nell’epoca consumistica industriale sono praticamente tutti avvelenati dai trattamenti e la genuinità è forse una certezza solo con un orto fai da te a chi possiamo addebitarlo? Vendere e rimanere sul mercato costringe anche le persone di buona volontà ad intensificare artificialmente la produzione, altrimenti di che vivrebbero rispetto ai costi della grande industria? Possiamo fargliene una colpa, o la colpa è del Sistema che tutti costringe ad adeguarsi?
Noi ci siamo adeguati e abbiamo abdicato a questa unica possibilità di sopravvivenza, allora è meglio pensare all’invasione degli stranieri piuttosto che alle nostre lunghissime ombre.