Cos’è successo alla Selva di Paliano?


Negli ultimi anni più volte mi è capitato di percorrere la via Palianese, la stessa che a più riprese reca dei segnali che la indicano come la strada del vino cesanese. L’ho fatto perché andavo a trascorrere una giornata a Filettino, oppure perché come ogni anno andavo a prendere vino ed olio da un contadino del Piglio. E tutte le volte non passava inosservato quel cartello marrone, tipico dei luoghi di interesse culturale e paesaggistico, che indicava la Selva di Paliano. Ogni volta ho avuto la curiosità di fermarmi, ma ogni volta, come spesso accade, avevo dinanzi a me un’altra meta e così lasciavo che quel segnale se ne filasse alle mie spalle.

Eppure quante volte avevo sentito parlare della Selva, la ricordavo sin da quando ne sentivo parlare nella sede dell’associazione ambientalista in cui avevo prestato servizio civile, e lì, ancora ricordavo, le guide e gli esperti la indicavano come una riserva di grandissimo pregio pari a quello di molte altre altrettanto note anche solo per sentito dire. D’altronde le cose di cui si sente parlare sin da piccoli, pur non essendo esperti o appassionati, credo appartengano alla tradizione ed alla cultura di ognuno, da qualunque parte si venga.

La mattina di qualche sabato fa poi, assieme ad un amico che abita non lontano, abbiamo deciso di non trascorrere la giornata in chiacchiere o davanti al televisore. Si cercava di capire quale fosse il posto non ancora visto ed adatto per una camminata. A volte può rivelarsi molto sano interrompere la quotidianità di un fine settimana di riposo apatico e semplicemente pensare e guardarsi attorno, perché lì, proprio vicino a noi, potrebbe esserci un posto mai visitato che verosimilmente potrebbe portare una storia diversa alla nostra giornata. La riflessione è stata semplice e rapida, potevamo andare alla Selva di Paliano. Dato uno sguardo su internet abbiamo letto che la Selva era stata riaperta nel 2010 dopo anni di chiusura e che la Regione Lazio, divenutane proprietaria, aveva stabilito l’ingresso gratuito e per chi lo volesse anche visite guidate. Sembrava perfetto, era sabato, quindi verosimilmente la Riserva in piena attività. Poche decine di chilometri in auto ed eravamo arrivati.

A ben vedere non si notava movimento ed a parte il segnale indicante la Selva, quello dell’ingresso e dei parcheggi rimanevano lì desolati non proprio chiari ed invitanti e molto simili a quelli che solitamente indicano semplici piazzole di sosta semideserte. Non era ben chiaro dove si potesse parcheggiare e quale fosse l’ingresso pedonale, d’altronde non ci aspettavamo di trovare sabato mattina una desolazione tale. Ci siamo fermati vicino ad uno dei possibili ingressi e visto un piccolo ristorante ho pensato di chiedere lumi sull’effettiva apertura della riserva e quale fosse il passaggio per entrarvi. Il cameriere è stato molto gentile, ci ha indicato il parcheggio e detto che sicuramente la Selva era aperta al pubblico per chi volesse farsi una passeggiata. Tornati sulla piazzola desolata dove sostava solamente un camion ci siamo aggirati un po’ perplessi. Due sbarre di ingresso e uscita per il passaggio delle auto erano chiuse e davanti a noi una grande insegna della Regione Lazio dava il “benvenuto” alla Selva; al centro delle due strade, poi, una mappa circostanziata della riserva mostrava, richiedendo solo un po’ di attenzione, come muoversi. Abbiamo allora percorso a piedi la strada asfaltata che di certo tempo addietro permetteva alle auto di arrivare sino all’ingresso, ma era ormai sempre più nitida la sensazione che quella riserva non potesse essere davvero in attività. Camminavamo respirando profondo, una semplice strada e tutti quegli angoli di cielo avevano la capacità di portare altrove anche rispetto alla tranquillità della Palianese. Il mio amico mi accennava ad un episodio di molti anni prima. Era ancora bambino che si era dovuto operare, trascorse alcuni giorni in ospedale, proprio gli stessi giorni in cui la sua scuola aveva organizzato una gita di una settimana alla Selva. Ricordava ancora il rammarico di non esser potuto andare, di pensarsi lì in ospedale mentre i suoi compagni scoprivano la Selva, e dopo l’amarezza, ancora un poco rimasta nel tempo, di non aver potuto condividere tutte le emozioni che in seguito aveva sentito scambiarsi tra loro. Credo che, silenziosi, entrambi abbiamo pensato che forse quel giorno sarebbe stato possibile “risarcire” un po’ di quel tempo perduto.

La strada era piana e gradevole, ai lati terreni dalle zolle sollevate esprimevano quanto meno un’attività agricola, fino a che finalmente abbiamo visto un’insegna di legno che indicava “ristorante” e quindi presumibilmente anche l’ingresso. Pochi metri e quello che originariamente doveva essere stato un grande parcheggio alberato conduceva ad una piccola casetta di legno del punto informazioni.

Non un’anima in giro e camminato attorno alla casetta non siamo riusciti che a constatarne la chiusura, o meglio il totale sbarramento dal momento che anche tutti i cancelletti di ingresso risultavano chiusi e lucchettati. Io, curioso di natura, ho continuato a cercare per capire se vi fosse un pertugio libero, e se qualcuno avesse pensato di permettere una semplice camminata a chi fosse arrivato sin lì, cosa che anche il cameriere del ristorante mi aveva confermato. Stavo quasi per darmi per vinto. Da ultimo mi sono avvicinato al lato della piccola “baita”, un grande cancello di legno lasciava intravedere una bella scalinata che discendeva direttamente su un piazzale della riserva in cui faceva bella mostra una grande mappa informativa simile alle precedenti. Peccato che il cancello per la metà superiore fosse chiuso, in quella inferiore invece il legno era stato divelto lasciando un’ampia apertura. Mi sono guardato attorno, c’era a terra un foglio plastificato che il tempo doveva aver staccato dalla parete, un corsivo lasciava intravedere la scritta “divieto d’accesso”. Ho chiamato il mio amico quasi ammiccando alla possibilità di entrare, ma l’evidenza della chiusura, la mattinata ormai sconfinata nel pomeriggio e quel senso di intrusione che si prova quando si entri da un qualunque punto strappato di una recinzione ci hanno fatto desistere. Il destino della riserva pareva chiaro, ma era anche chiaro che qualcuno dovesse ancora provvedere a qualche forma di manutenzione potendo trovare una vegetazione non del tutto incolta e la parte visibile della selva a suo modo invitante.

Siamo rimasti qualche istante lì, un po’ sbalorditi, ma purtroppo non del tutto sorpresi dell’assurda normalità dell’abbandono cui siamo abituati. Quasi una beffa i grandi cartelli della Regione Lazio in cui si cita Monumento Naturale “La Selva di Paliano e Mola di Piscoli”, una beffa l’aver voluto dare solo un veloce sguardo su internet prima di partire quasi certi che la celebre Selva di Paliano non potesse non essere aperta, non potesse rimanere ignorata, non abbandonata, non addirittura sbarrata. Non era stata ampiamente celebrata la riapertura nel 2010? Le numerosissime visite non avevano convinto della bontà e della necessità di quella riapertura? La Selva di Paliano non era ancora quella decantata per la sua rara ricchezza forestale e faunistica, quella in cui illustri viaggiatori, artisti e architetti in passato avevano soggiornato grati di quel patrimonio ambientale?

Siamo tornati indietro, il mio amico aveva l’intenzione di tornarsene a casa, a me balenava nella testa quella di mangiare un boccone al ristorante lì vicino. Ma non era del tutto la fame a spingermi, più la voglia di capire direi, di sentire cosa potessero dirmi le persone del posto, capire come riconciliare sentimenti e irragionevolezza di ciò che avevo visto. Il mio amico è stato subito d’accordo, anche lui evidentemente voleva vincere l’incuria e curarsene in qualche modo.

Il ristorante era ancora aperto, poche le persone, un cameriere ci è venuto incontro per accoglierci e farci sedere. Il posto era bello, curato, cotto antico e legno ad incorniciare con vetrate i giardini esterni. C’era pace.

Ci siamo accomodati in quel luogo accogliente sorpresi di quell’atmosfera tanto diversa dal disordine e la delusione che avevamo appena lasciato. Il cameriere è stato subito da noi per presentarci alcuni antipasti tra cui quello del luogo che non potevamo non scegliere. Eravamo arrivati sin lì e sentire che i prodotti che sarebbero stati sui nostri piatti fossero di provenienza locale mi fece subito tornare alla mente che ci trovavamo in una terra ricca, generosa, ancora folta di agricoltori, viticoltori, pastori. Ci aveva appena portato l’acqua e preso l’ordinazione che subito abbiamo chiesto dello stato di abbandono della Selva e se, nonostante la chiusura, fosse possibile entrarvi per una passeggiata. Si è mostrato dapprima di poche parole, quasi stufo della stessa domanda che doveva essersi sentito fare centinaia di volte. È restato pochi istanti e poi continuato a fare il giro tra i pochi tavoli occupati. Appena ritornato per il vino ha ancora abbozzato qualche parola quasi indeciso tra il dare fiducia al nostro interesse o riferire qualche frase di circostanza. Dopo una piccola e garbata insistenza l’esitazione pareva cessata ed a poco a poco tutto il malcontento, la delusione ed il livore per le condizioni della Selva parevano aver perso il sopravvento. È venuto spesso al tavolo, ora lui ci chiedeva e riferiva le vicissitudini della riserva. Ci ha parlato del lungo lavoro per la riapertura e successivamente di tutte le piccole beghe politiche, contrapposizioni tra enti pubblici e da ultimo la chiusura e la manutenzione ormai solo frutto dell’opera di volontari.

La disillusione totale che lo aveva pervaso in un primo momento, tanto dal renderlo in quell’amaro silenzio, non poteva non fare il paio con la poca conoscenza, quasi indifferenza, che un’oretta prima era stata chiara nella risposta di un uomo a cavallo a cui avevamo chiesto qualche indicazione sulla Selva. Non poteva non fare il paio con l’amarezza rassegnata e poco tollerabile a cui spesso organi pubblici riducono una cittadinanza prospera di territori e poverissima di speranze, riguardi, quasi propensa ad una rimozione per attutirne l’umiliazione.

Il cameriere era ormai sempre più spesso da noi, la diffidenza era sparita in una confidenza, uno sfogo, quasi una confessione che ardentemente pareva volerci concedere. Quando sono sceso in bagno, che era un paio di piani più sotto, mi sono reso conto di quanto grande e caratteristico fosse quel locale, sembrava pensato per accogliere le molte persone che forse, in un sabato come quello, e per un afflusso normale vista la vicinanza della riserva, sarebbe stato ideale. Ideale in un Paese che si dica normale, o più che normale direi ancora semi desto, basterebbe semi attento, non sprofondato nell’abbandono dell’inerzia e quasi nello spregio di sé. Ma forse questo Paese non sa più riconoscersi se non nelle piccole grandi faide economiche e di potere dove proliferano piccoli grandi interessi familistici.

Eravamo quasi giunti a fine pasto, il cameriere ci aveva rassicurato del fatto che fosse possibile entrare alla Selva pur sé ufficialmente sbarrata, e molto ci aveva lasciato della storia e dei sentimenti che in parte avevamo già respirato camminando. Lo abbiamo salutato lasciando quegl’occhi che esprimevamo l’augurabilità di un reincontro e la sincera soddisfazione di essersi tirato di dosso molte amarezze e forse qualche letizia.

La sera, a casa, già pensavo di tornare. Così il giorno dopo ho chiamato un altro amico che forse sarebbe stato interessato a ritentare l’impresa. Non ho avuto neppure bisogno di convincerlo che in mattinata siamo tornati davanti ai cancelli principali perché altre strade, pur provate, non mostravano di poter accedere alla riserva per chi non conoscesse appieno il luogo.

Con un piccolo senso di disagio ci siamo accucciati per attraversare il pertugio aperto nel cancelletto di legno e subito siamo rimasti all’aperto nel piazzaletto verde che tendeva le mani ai visitatori. Eravamo davanti alla piantina della riserva, curiosi di capire il sentiero da imboccare e frettolosi di avviarci. Ci trovavamo finalmente lì e tra le due strade a disposizione ci siamo decisi ad imboccare quella di destra.

Un lungo sentiero abbastanza curato conduceva sin sul margine di un bel lago al cui centro spiccava un villino ben incastonato che con ogni probabilità doveva essere stato il ristorante un tempo in attività. La strada lasciava intravedere boschetti che riparavano belle panchine di legno, grandi bracieri, prati e colline a perdita d’occhio. Un piccolo gregge di pecore era vigilato da alcuni cani che a parte qualche accenno di aggressività comunque non si avventurarono sino a noi quando videro che ci stavamo allontanando per la nostra strada. A poco a poco intravvedemmo una nuova casetta dello stesso stile del villino del lago, gli girammo attorno, aveva una graziosa insegna di legno con intagliata la scritta SOUVENIR. Ne notai la grandezza, anche qui mi venne d’immaginare che l’ampiezza delle stanze certo avevano ospitato un buon numero di interessati quando la selva era la selva. Percorremmo il ponticello di legno che scavalcava il fiume scrosciante verso il lago e un’onda immaginaria di bambini, studenti, coppie e camminatori mi riempirono gli occhi. Certo quando la selva era la selva. Seppure quella solitudine a tratti ci parve un privilegio piuttosto che una miseria, terminato il nostro giro rammentammo che la riserva era almeno tre volte più grande di quanto quel giorno i nostri sguardi avessero raggiunto, allora mi sono promesso di tornare, sì tornare, ma come dovrebbe essere per me come per chiunque altro, non più così, non più come un intruso.

Pubblicato da aiutobonariacomposizione

Dopo varie esperienze personali di reclami per le più varie esigenze di vita quotidiana in cui purtroppo tutti noi abbiamo modo di imbatterci: dai problemi di richiesta di verifica di bollette spesso discutibili, difficoltà nelle domiciliazioni bancarie e controversie varie rispetto a problematiche relative ad utenze, mancati o tardivi interventi tecnici per il ripristino di servizi interrotti, segnalazioni di situazioni di degrado ambientale oppure ricorsi alle Autorità Garanti o ai sistemi stragiudiziali di risoluzione delle controversie, ho nel tempo maturato la convinzione e l’esperienza che molti rinunciano alla tutela dei propri diritti o per mancanza di conoscenza o per mancanza di tempo, pazienza, capacità di seguire la burocrazia dei reclami. Eppure, qualora si sappia impostare nel modo giusto un reclamo, un ricorso o una segnalazione, peritandosi di individuare anche i corretti referenti ai quali far giungere la nostra comunicazione, molto spesso buona parte delle problematiche possono essere verificate e risolte senza rinunciare alla tutela dei propri diritti e senza affidarsi da subito all’assistenza di un legale che, oltre a dimostrarsi talora un decisione piuttosto costosa, è anche troppo spesso una strada lunga ed eccessiva per la risoluzione di alcune controversie più facilmente affrontabili con una giusta segnalazione della problematica o ricorrendo a canali di risoluzione spesso disponibili ai cittadini ma dei quali si ha scarsa conoscenza. Sia in prima persona che poi, successivamente, aiutando alcuni miei amici, mi sono reso conto che era possibile, in gran parte dei casi, affrontare problematiche di varia natura semplicemente impostando correttamente la richiesta o la segnalazione di cui necessitavano. Nel tempo molte persone, solo con il passaparola si sono rivolte a me perché “sfinite” da vari disguidi per i quali non riuscivano a trovare risposte, anche a loro, in base al tempo a mia disposizione, ho cercato di dare un aiuto. Più di uno mi ha consigliato di estendere questa mia esperienza alle moltissime persone che avrebbero potuto giovarsene, ed ho sempre risposto che lo avrei fatto se avessi potuto vivere di rendita, poiché impostare un reclamo o segnalazione nel modo corretto necessita di cura, concentrazione e tempo. Poi le continue richieste e la buona percentuale di risposte e di soluzioni, mi hanno convinto a comunicare questa possibilità. Per cui, per chi ne necessitasse, mi rendo disponibile a valutare le necessità di segnalazione, reclamo o ricorso a fronte di un rimborso spese, configurabile come un contributo libero per il tempo necessario alla predisposizione del reclamo (non essendo io né un avvocato né un’associazione di consumatori o altro ma un semplice cittadino). Ho voluto chiamare questa mia piattaforma web A.B.C., acronimo di “Aiuto per la Bonaria Composizione delle Controversie” perché credo che di questo semplicemente si tratti, un’ABC dei diritti che troppo spesso, purtroppo, anche per poca conoscenza o esperienza, paiono non esistere.