Nella Tuscia nessuno sembra più in grado di sentire l’urlo di Pasolini – Corriere di Viterbo

Gentilissimi, qualche anno fa quando mi trovai ad addentrarmi per la prima volta alla ricerca della Torre di Chia di pasoliniana memoria (un tempo Castello di Colle Casale), cauto e sorpreso entrai nella piccola frazione di Chia per chiedere come si potesse raggiungere la Torre che solo dalla superstrada avevo scorto così magistrale e solitaria ma che nessuna indicazione mi aveva agevolato nell’avvicinare, sapendo peraltro fosse di proprietà privata e non visitabile.

Fermatomi ad un piccolo e forse unico alimentari le donne dietro al bancone mi guardarono un po’ stupite della mia domanda e bene o male mi indicarono una strada per riuscire almeno a vederla un po’ da vicino.

Capitai quindi, dopo un poco di girovagare, davanti ad cancello malandato e arrugginito al fondo del quale sentivo il rumore pieno di un torrente che immaginai essere quello di Fosso Castello, cornice del battesimo di Gesù del celebre film.

Solo la curiosità, ed essendo io teoricamente abbastanza a conoscenza della dislocazione del torrente rispetto alla Torre, mi indusse a proseguire su quell’anonimo sentiero di campagna. Poco oltre mi trovai dinanzi lo spettacolo di quelle cascate e rocce levigate dall’acqua che avevo potuto ammirare nella pellicola del Vangelo secondo Matteo.

Solo una piccola ed incerta insegna ne ricordava le riprese. Fortuna volle che, vedendo il sentiero costeggiante il torrente proseguire, incontrai alcuni fotografi ai quali chiesi dove conducesse, e uno di loro subito rispose, quasi sicuro della mia meta, che probabilmente intendevo raggiungere la cosiddetta Piramide etrusca, monumento fino ad allora a me ignoto e che d’altra parte nessuno a Chia mi aveva indicato stentando anche ad indicarmi la Torre o un semplice sentiero per fare una passeggiata.

Fu da quella semplice informazione che mi si spalancò davanti un itinerario spettacolare, di cui la Torre di Chia non era stata che una prima fervida suggestione. Il sentiero costeggiava il fiume e le rocce monumentali che vi erano precipitate dentro come spinte alla rinfusa da mani di gigante, la spaccatura della valle si faceva sempre più profonda col nostro ascendere, e la Torre di lontano sempre vigilava il nostro passo.

Quel giorno passammo sopra un vecchio ponte romano, molini medievali in rovina, grotte ed abbeveratoi scolpiti che dalla parte opposta del fiume corrispondevano magicamente al suono fluido che la stagione iniettava nell’acqua. Poi, non procedemmo molto oltre una piccola panchina che sedeva su una piccola piazzola tufacea che affacciava sulla valle. Eravamo sazi, sorpresi di quanto in così poco avemmo potuto testimoniare.

Quel luogo allora, anche oltre la Torre, proprio non poteva essere un caso fosse stato scelto da Pasolini come ultima dimora, la testimonianza ne era lampante e fulgida, tanto quanto le parole dell’artista che rappresentando l’Italia descriveva proprio come anche nel più piccolo dei luoghi poteva abitare la più mirevole delle strade.

“Questa strada per cui camminiamo, con questo selciato sconnesso e antico, non è niente, non è quasi niente, è un’umile cosa. Non si può nemmeno confrontare con certe opere d’arte, d’autore, stupende, della tradizione italiana, eppure io penso che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende un’opera d’arte di un grande autore.

… E così il punto dove porta questa strada, quella antica porta della città di Orte, anche questo non è quasi nulla, vedi? Sono delle mura semplici, dei bastioni, dal colore così, grigio, che in realtà nessuno si batterebbe (con rigore, con rabbia) per difendere questa cosa. E io ho scelto invece proprio di difendere questo.

Quando dico che ho scelto come oggetto di questa trasmissione la forma di una città, la struttura di una città, il profilo di una città, voglio proprio dire questo: voglio difendere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che nessuno difende e che è opera, diciamo così, del popolo, di un’intera storia, dell’intera storia del popolo di una città. Di una infinità di uomini senza nome, che però hanno lavorato all’interno di un’epoca che poi ha prodotto i frutti più estremi, più assoluti, nelle opere d’arte d’autore.

Ed è questo che non è sentito, perché chiunque, con chiunque tu parli, è immediatamente d’accordo con te nel dover difendere un’opera d’arte d’un autore, un monumento, una chiesa, la facciata di una chiesa, un campanile, un ponte, un rudere il cui valore storico è ormai assodato. Ma nessuno si rende conto che invece quello che va difeso è proprio questo anonimo, questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare”.

P.P.P.

Sentivamo cani abbaiare nel bosco e il desiderio della piramide ce lo mantenemmo in serbo per un’altra volta che saremmo tornati.
Fu infatti circa un anno dopo che tentammo stavolta più decisamente di raggiungere la Piramide, ma nonostante ogni nostro sforzo l’assoluta mancanza di una qualunque insegna, sebbene dopo ore di cammino, quasi ci fecero desistere.

Ancora qui non fu che il caso ad esserci alleato. Due persone della vicina Bomarzo ci passarono accanto mentre riposavamo spossati sulla panchina di legno della piazzola, e solo una mia semplice domanda fece sì che subito si proposero di accompagnarci. La loro giornata forse prevedeva qualcosa di diverso ma vedere due persone mezze tramortite venire da Roma per addentrarsi in un bosco semisperduto interessati a ciò che vi poteva celare, credo li avesse amabilmente convinti a non lasciarci delusi e soprattutto forse a mostrare quel piccolo vanto del loro territorio.

Raggiungemmo la Piramide e ritornammo attraverso vie cave nascoste e solitarie raccogliendo qui e là asparagi che poi i nostri due “amici” ci avrebbero regalato. Anche quel giorno tornammo gonfi di tutto quel lusso del semplice e dello sconosciuto.

A casa non potei fare a meno di approfondire e scoprire che era stato un cittadino di Bomarzo, Salvatore Fosci, a dedicare ogni fine settimana del suo tempo, malgrado allora lavorasse al nord Italia, per ripulire e riscoprire quella Piramide di cui aveva memoria solo per il racconto del padre e dei nonni, non potei fare a meno di sentire una intensa intervista a Terzo Camilli, privilegiato testimone (purtroppo prematuramente scomparso) della permanenza di Pasolini in quei luoghi in cui, con l’amabilità che certamente aveva un tempo colpito anche il poeta, raccontava di come oggi il suo maestro li avrebbe redarguiti per non aver custodito quel territorio, per come Soriano e dintorni fossero stati poi indelebilmente toccati dall’espansione edilizia.

Non potevo non pensare all’idea di custodia che Pasolini aveva portato alla più vertiginosa intensità e di come quei due uomini dai visi nitidi e marcati non fossero che lì a testimoniare l’esistenza che un refolo di quella vita vagheggiata fosse rimasta.
Pochi giorni fa sono tornato per la terza volta a Chia. Con un mio amico eravamo intenzionati a vedere la Torre, il Fosso Castello e fare degli asparagi nei dintorni. Solo che poi chi percorra quel sentiero è quasi spontaneamente e involontariamente portato a seguirlo sin dove mostri di andare e così anche noi presto ci siamo trovati al bivio contrassegnato da un particolare alberello a sei rami.

Io non ricordavo la strada per la Piramide e decisi di fare solo alcune decine di metri, se non fosse che le persone che mi venivano incontro mi riferivano che fosse molto vicina e la strada agevole. In poco tempo fummo lì. Sedemmo qualche minuto ai suoi piedi mentre altre persone, forse per la passeggiata domenicale, erano lì con i propri figli a rendere turistica una giornata (devo dire che in quei momenti si può desiderare di essere in un anonimo giorno della settimana per rimanere da solo e quasi geloso di quel blocco di roccia).

Una volta salito in cima al monumento rupestre, mi affiancai ad un giovane uomo appoggiato ad un bastone, che dava l’aria di essere un po’ a riposo e un po’ in attesa. Incrociando il suo sguardo ho riconosciuto il volto di Salvatore Fosci che avevo visto nell’intervista letta tempo addietro. Subito mi sono messo a parlare con lui che, con tutto il disinteressato amore che si custodisce per un luogo, è rimasto con noi più di un’ora per capire cosa vedessimo in quel monumento e cosa nel tempo lui stesso ci avesse visto, meditato ed immaginato. Ci mise a conoscenza di tutte le sue osservazioni, supposizioni, tra dubbi e sempre maggiori certezze circa l’evolversi architettonico del tempio.

Non c’erano esitazioni in me. Era lui il semplice custode del luogo. E questo non solo per il diritto che gli proveniva dall’averlo riscoperto e ripulito ma più quasi per una volontà di natura stessa. Ogni sua attenzione, cura, premura verso chiunque si avvicinasse o chiedesse del posto, ogni sollecitudine ad avvertire circa l’attenzione di dove mettere un piede, dove salire, scendere o anche dove guardare, tutta questo innamoramento naturale non fecero che semplicemente confermarmi ciò che sapevo. Se Pasolini per incanto fosse mai tornato lì anche solo per un giorno forse non si sarebbe interessato né a me né a Voi, ma certo avrebbe camminato con Salvatore, con lui avrebbe parlato, ascoltato, lui lo avrebbe riconosciuto.

“C’è da salvare la città nella natura. Il risanamento dall’interno. Basta che i fautori del progresso si pongano il problema. Questa regione, che per miracolo si è finora salvata dalla industrializzazione, questo Alto Lazio con questa Viterbo e i villaggi intorno, dovrebbero essere rispettati proprio nel loro rapporto con la natura. Le cose essenziali, nuove, da costruire, non dovrebbero essere messe addosso al vecchio.

Basterebbe un minimo di programmazione. Viterbo è ancora in tempo per fare certe cose. […] Quel che va difeso è tutto il patrimonio nella sua interezza. Tutto, tutto ha un valore: vale un muretto, vale una loggia, vale un tabernacolo, vale un casale agricolo. Ci sono casali stupendi che dovrebbero essere difesi come una chiesa o come un castello. Ma la gente non vuol saperne: hanno perduto il senso della bellezza e dei valori. Tutto è in balìa della speculazione. Ciò di cui abbiamo bisogno è di una svolta culturale, un lento sviluppo di coscienza. Perciò mi sto dando da fare per l’Università della Tuscia”.

P.P.P.

Salvatore non chiede nulla, custodisce i luoghi con una presenza tenera, innocente e viva, ha ripulito la Piramide in due mesi di duro lavoro con i soli attrezzi che conoscevano anche i suoi nonni, senza alcun mezzo meccanico, perché, dice lui, era bene che così fosse. Solo le mani avrebbero avuto cura di non rovinare nulla, di non scavare né troppo né poco, solo lui oggi sa e riconosce la più piccola fessura che c’era al tempo della riscoperta da quella che qualche visitatore avrebbe potuto infliggergli successivamente.

Salvatore ha avuto con noi amore di trasmettere, coinvolto dal nostro stesso coinvolgimento, eppure, chi oggi dovrebbe accorgersi di questo patrimonio risollevato da quest’uomo tenace e puro, chi oggi dovrebbe non concedere ma semplicemente ed umilmente offrirgli una nomina ufficiale a custode, forse soltanto tace, anche di fronte all’oblio, all’incuria e alle visite guidate mordi e fuggi che nulla portano ad un territorio.

D’altronde se un territorio non lo si ama non lo si può neppure rispettare. E scrivo questa lettera anche a molti che invece hanno mostrato di amarlo e che forse si riconosceranno in quello che dico dalle suggestioni di semplice visitatore.
Si vuole forse ignorare e lasciare tutto questo a qualche forestiero attratto solo dalla stavolta facile suggestione che i luoghi evocano per trarne magari qualche fuggevole storia o visita lasciando poi questo bosco sacro al solo oblio che meriterebbe per non essere lasciato alla miseria dell’incuria e dell’indifferenza.

Davvero nessuno è più in grado di sentire l’urlo di Pasolini che conoscerete certamente meglio di me e che qui si spese con coraggio e vigore.

Chia e dintorni hanno avuto l’onore di ospitare l’intimità di un uomo tra i più eminenti non solo del secolo scorso e non solo tra i confini nazionali, uomo tutt’oggi conosciuto più di ogni altro italiano in ogni angolo del pianeta, che solo a citarne una briciola ha gettato il seme per il riconoscimento statale della Libera Università della Tuscia.

Davvero più nessuno sente di onorarlo, rispettarlo o semplicemente ascoltarlo. Forse solo attivamente e inconsapevolmente Salvatore Fosci lo ha fatto, con quella folle incoscienza propria delle persone autentiche. Lui che ha ideato sentieri, riscoperto e ripulito non solo la Piramide, lui solo forse ha ascoltato, e sembra essere solo ad amare così, con cuore, mani e corpo questo bosco.

E voi? Ricordate?

“Contadini di Chia! Centinaia di anni o un momento fa, io ero in voi. Ma oggi che la terra è abbandonata dal tempo, voi non siete in me. Qualcuno sente un calore nel suo corpo una forza nel ginocchio… Chi è? I giovani sono lontani e voi non parlate…

Quelli che vanno a Viterbo o negli Appennini dov’è sempre Estate, i vecchi, mi assomigliano: ma quelli che voltano le spalle, Dio, e vanno verso un altro luogo… Dio, lasciano la casa agli uccelli, lasciano il campo ai vermi, lasciano seccare la vasca del letame, lasciano i tetti alla tempesta, lasciano l’acciottolato all’erba, e vanno via e là dov’erano non resta neanche il loro silenzio…”.

P.P.P.

Potete lasciare nelle condizioni attuali questo Vostro patrimonio, ve la sentite di raccontarlo così ai Vostri concittadini, figli o nipoti? Ve la sentirete anche solo di raccontarlo per ciò che non è stato fatto?
Salvatore, nella sua semplicità così intrisa di sapienza, ha idea del territorio, sa camminarlo, accompagnarlo, difenderlo a suo modo. E voi?
Avete forse davanti agli occhi un custode di tempi antichi in cui Pasolini avrebbe sperato, foss’anche uno solo, e cosa avete fatto per riconoscergli questo, quand’anche non l’avesse chiesto, cosa avete fatto?

“Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti, che io vorrei essere scrittore di musica, vivere con degli strumenti dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare, nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta innocenza di querce, colli, acque e botri, e lì comporre musica, l’unica azione espressiva forse alta, e indefinibile come le azioni della realtà”.

P.P.P.

Se non avete ricordato appieno sino ad oggi, forse c’è ancora un po’ di tempo per cominciare a farlo.

Fabio Sabbi

Pubblicato da aiutobonariacomposizione

Dopo varie esperienze personali di reclami per le più varie esigenze di vita quotidiana in cui purtroppo tutti noi abbiamo modo di imbatterci: dai problemi di richiesta di verifica di bollette spesso discutibili, difficoltà nelle domiciliazioni bancarie e controversie varie rispetto a problematiche relative ad utenze, mancati o tardivi interventi tecnici per il ripristino di servizi interrotti, segnalazioni di situazioni di degrado ambientale oppure ricorsi alle Autorità Garanti o ai sistemi stragiudiziali di risoluzione delle controversie, ho nel tempo maturato la convinzione e l’esperienza che molti rinunciano alla tutela dei propri diritti o per mancanza di conoscenza o per mancanza di tempo, pazienza, capacità di seguire la burocrazia dei reclami. Eppure, qualora si sappia impostare nel modo giusto un reclamo, un ricorso o una segnalazione, peritandosi di individuare anche i corretti referenti ai quali far giungere la nostra comunicazione, molto spesso buona parte delle problematiche possono essere verificate e risolte senza rinunciare alla tutela dei propri diritti e senza affidarsi da subito all’assistenza di un legale che, oltre a dimostrarsi talora un decisione piuttosto costosa, è anche troppo spesso una strada lunga ed eccessiva per la risoluzione di alcune controversie più facilmente affrontabili con una giusta segnalazione della problematica o ricorrendo a canali di risoluzione spesso disponibili ai cittadini ma dei quali si ha scarsa conoscenza. Sia in prima persona che poi, successivamente, aiutando alcuni miei amici, mi sono reso conto che era possibile, in gran parte dei casi, affrontare problematiche di varia natura semplicemente impostando correttamente la richiesta o la segnalazione di cui necessitavano. Nel tempo molte persone, solo con il passaparola si sono rivolte a me perché “sfinite” da vari disguidi per i quali non riuscivano a trovare risposte, anche a loro, in base al tempo a mia disposizione, ho cercato di dare un aiuto. Più di uno mi ha consigliato di estendere questa mia esperienza alle moltissime persone che avrebbero potuto giovarsene, ed ho sempre risposto che lo avrei fatto se avessi potuto vivere di rendita, poiché impostare un reclamo o segnalazione nel modo corretto necessita di cura, concentrazione e tempo. Poi le continue richieste e la buona percentuale di risposte e di soluzioni, mi hanno convinto a comunicare questa possibilità. Per cui, per chi ne necessitasse, mi rendo disponibile a valutare le necessità di segnalazione, reclamo o ricorso a fronte di un rimborso spese, configurabile come un contributo libero per il tempo necessario alla predisposizione del reclamo (non essendo io né un avvocato né un’associazione di consumatori o altro ma un semplice cittadino). Ho voluto chiamare questa mia piattaforma web A.B.C., acronimo di “Aiuto per la Bonaria Composizione delle Controversie” perché credo che di questo semplicemente si tratti, un’ABC dei diritti che troppo spesso, purtroppo, anche per poca conoscenza o esperienza, paiono non esistere.